La divina misericordia
La parola misericordia è tradotta da tre parole ebraiche: hesed, Rāhamîm e hēn/hānan. Hesed è usato per riferirsi all’amore alleato, reciproco e duraturo. Rāhamîm; ha a che fare con un amore tenero, compassionevole, un amore che scaturisce dalla pietà, che significa anche la forma plurale di “grembo”, implicando una risposta fisica e dimostrando un atto che si sente nel centro del proprio corpo. Il terzo è hēn/hānan, che significa “grazia” o “favore”. A differenza degli altri due, questo è un dono gratuito, senza mutualità né implicita né attesa e la sua qualità dipende solo da chi lo fa. È spesso tra persone di condizione disuguale.
San Tommaso d’Aquino ha definito la misericordia in generale come “la compassione nel nostro cuore per la miseria di un’altra persona, una compassione che ci spinge a fare ciò che possiamo per aiutarla” (ST II-II.30.1). È la cura compassionevole per gli altri per cui ci si assume il peso di un altro come se fosse il proprio. La misericordia è un dono gratuito dato da uno che ha potere ad un altro che non ne ha. La misericordia è vista nella sua relazione con l’amore. Papa Giovanni Paolo II nella sua enciclica Dives in Misericordia ha notato che la Misericordia è il secondo nome dell’Amore. E Santa Faustina nel suo diario nota che “l’amore è il fiore, la misericordia il frutto” (Diario, 948).
La misericordia divina ci rivela dunque la misericordia incondizionata di Dio verso l’umanità. È la forma di misericordia che l’amore eterno di Dio assume quando Dio ci raggiunge in mezzo ai nostri bisogni e alle nostre rotture. Anche se tutte le visioni della misericordia nei termini ebraici sono viste nella relazione di Dio con l’uomo, il terzo significato di misericordia si riflette di più nel nostro contesto per cui non dipende dalla nostra dignità o reciprocità ma come un favore e una grazia dataci da Dio. La nostra riflessione sul contesto ci porta a considerare quanto segue:
In primo luogo, che la misericordia di Dio è un dono gratuito di una nuova nascita che abbiamo ricevuto. San Paolo nella sua lettera ai Romani afferma che “mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (Rom. 8:5). Questo dimostra che Dio ha dato suo figlio non come una ricompensa per la giustizia o la realizzazione umana, ma anche nello stato di peccato. Nella sua rivelazione a Santa Faustina, Dio dice: “Nessuna anima abbia paura di avvicinarsi a me, anche se i suoi peccati sono come scarlatto. La mia Misericordia è così grande che nessuna mente umana o angelica potrà ingoiarla impegnandosi per tutta l’eternità” (Diario, 699)
In secondo luogo, che il dono della salvezza offerto all’umanità è attraverso l’amore, la misericordia e la grazia del Padre Celeste. Come sottolinea l’evangelista Giovanni, Dio che manda suo figlio è per il suo amore totale per l’umanità. Egli ama così tanto il mondo da mandare il suo unigenito figlio (Giovanni 3:16).
In terzo luogo, che il Padre celeste ha dato il suo unico amato Figlio come agnello sacrificale. San Paolo notò che “Dio fece sì che colui che non aveva peccato fosse peccato per noi, affinché in lui diventassimo la giustizia di Dio (2 cor. 5:21). Gesù disse il livello dell’amore sacrificale quando disse che nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15,13). Questo amore si manifesta nella sua compassione per l’umanità.
Infine, che attraverso il sacrificio perfetto di Cristo, possiamo ora partecipare alla speranza vivente dell’eternità con il nostro Padre celeste. La misericordia di Dio si dimostra non nella morte e nella sofferenza del peccatore, ma nel suo ritorno (Ez 33,11). Come tale, “Se noi, essendo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del suo Figlio, molto più saremo salvati nella sua vita, essendo stati riconciliati.” (Rom. 5:10)
P. Paul Kuunuba
Il P. Paul fa parte della comunità dei sacerdoti studenti al Pontificio Collegio Internazionale Maria Mater Ecclesiae. Viene del Ghana e adesso sta realizzando una licenza in Teoogia Spirituale nella Pontificia Università Gregoriana a Roma.